La dichiarazione di incostituzionalità delle norme penali e gli effetti sulle sentenze

di Luigi Ferrajoli – avvocato patrocinante in Cassazione, dottore commercialista, revisore legale, titolare Studio Ferrajoli Legale Tributario e condirettore scientifico della rivista Accertamento e Contenzioso
Il diritto penale e la Costituzione Il nostro ordinamento prevede, alla base del proprio sistema penale, la tutela del bene giuridico, che viene determinato e identificato sulla scorta dei valori promossi dalla Costituzione (per questo la migliore dottrina parla di teoria “costituzionalmente orientata”). In tale ambito, è bene premettere che principio fondamentale e inestinguibile viene rinvenutonell’inviolabilità della libertà personale, come stabilito dall’articolo 13, Costituzione, che ha una formulazione ampia e complessa. In tale norma, infatti, sono state tenute in considerazione tutte le circostanze che possono portare a una privazione di tale diritto fondamentale, con inserimento di ampie e stringenti garanzie proprie di uno Stato di diritto. Conformemente alla introduzione di tali principi cardine, la Carta Costituzionale stabilisce altresì che“nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”(articolo 25, comma 2, Costituzione). Ciò comporta, evidentemente, non solo che vi sia una legge che abbia stabilito quale comportamento concretamente possa integrare una fattispecie criminosa, ma che essa sia entrata in vigore in tempo antecedente alla condotta. Questo per impedire, da un lato, che uncomportamento “neutro” sia successivamente ritenuto reato e dunque meritevole di pena; dall’altro,assicurare che il soggetto che lo ha posto in essere sia stato messo in condizione di sapere prima che tale ipotesi avrebbe configurato un delitto. Il riferimento alla legge è indicativo altresì della volontà di affidare al Parlamento o al Governo la legiferazione in materia penale. Inoltre, in tema di responsabilità, l’articolo 27, Costituzione è assolutamente netto e “garantista” nellapropria indicazione. Come si può facilmente evincere, l’accento viene posto sul carattere “personale” della responsabilità penale (a differenza di quanto avviene in altri settori giuridici del nostro ordinamento) e la colpevolezza subordinata alla definitività della pronuncia giudiziale.
I reati e il sindacato di legittimità costituzionale Come abbiamo visto, la Costituzione affida alla legge la scelta di elevare la tutela del bene giuridico al rango penale, con introduzione delle specifiche fattispecie e delle relative previsioni di sanzione. Tale potere è tuttavia soggetto al rispetto dei principi contenuti nella carta costituzionale, sopra richiamati, da cui non può discostarsi. Diversamente, si porrebbe il problema di una eventuale incostituzionalità della singola norma incriminatrice o del combinato disposto di alcune di esse, il cui sindacato non può che essere affidato alla Corte Costituzionale. In tale ambito, la Corte è chiamata a valutare se la previsione delittuosa concretamente violi uno o più principi inseriti nella Carta, compito non semplice. Innanzitutto, la Corte deve evitare di ingerirsi in modo preponderante in quelli che sono e devono rimanere gli indirizzi del Legislatore, escludendo dunque ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sul potere discrezionale del Parlamento, ma nel fare ciò non può esimersi dal compiere tutta una serie di considerazioni che tengano presente non solo il tenore letterale della fattispecie, ma le implicazioni più ampie che la stessa possa riverberare sui principali valori del nostro ordinamento. In via generale, le pronunce della Corte Costituzionale possono essere inquadrate, secondo quantoesposto dalla migliore dottrina, in tre diverse tipologie: rigetto dell’eccezione di incostituzionalità dellanorma (ipotesi largamente preponderante), riformulazione dell’oggetto della tutela (a salvaguardia della norma stessa) e accoglimento dell’eccezione. In tale ultimo caso, assolutamente minoritario, la fattispecie delittuosa oggetto di sindacato viola i diritti di libertà costituzionalmente garantiti senza che la tutela di altri beni o interessi sia concretamente interessata da tale compressione. Il sindacato di incostituzionalità. Effetti Quali sono gli effetti di una pronuncia di incostituzionalità della norma sottoposta a sindacato dilegittimità? A tale domanda risponde l’articolo 136, Costituzione. Naturalmente, essendo la nostra attenzione dedicata agli aspetti penali, ci si chiede quali effetti possaavere una pronuncia di tal fatta in un processo in corso al momento dell’emanazione della sentenza che dichiari l’incostituzionalità della fattispecie criminosa. In questo caso, sovviene l’articolo 30, L. 87/1953. La disposizione in esame è assolutamente chiara e tranchant: in caso di sentenza passata in giudicato,sia l’esecuzione sia gli effetti penali del provvedimento devono cessare. In questo caso, il nostro ordinamento dunque prevede e ammette una deroga alla intangibilità delgiudicato penale, attestando ancora una volta l’assoluta rilevanza e primato dei principi contenuti nellaCarta Costituzionale. La dichiarazione di incostituzionalità è considerata con effetto ex tunc, per cui la norma invalidata dal giudizio di legittimità non può essere applicata neppure alle situazioni verificatesi sotto la sua vigenza. La disposizione, tuttavia, si ritiene possa trovare applicazione ove risulti più favorevole al reo rispetto a una precedente disposizione incriminatrice. La sentenza emessa dalla Corte Costituzionale n. 43/2017 Una questione molto importante esaminata dalla Corte Costituzionale riguarda proprio l’interpretazione di cosa si intenda per cessazione di tutti gli effetti penali della condanna. Nel 2015 il Tribunale di Como ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 30, comma 4, L. 87/1953 lamentando la violazione degli articoli 3, 25, comma 2, e 117, comma 1, Costituzione, in relazione agli articoli 6 e 7 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei dirittidell’uomo e delle libertà fondamentali. Secondo il giudice rimettente, l’illegittimità costituzionale della disposizione deriverebbe dallalimitazione della sua portata normativa alle sole sentenze irrevocabili di condanna con le quali sia stat ainflitta una sanzione penale nel significato proprio dell’ordinamento giuridico italiano, e non anche nelsignificato, più ampio, proprio del sistema convenzionale. In particolare, la disposizione de qua sarebbe costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede la propria applicabilità alle sentenze irrevocabili con le quali è stata inflitta una sanzione amministrativa qualificabile come “penale” ai sensidel diritto convenzionale. Secondo la Corte Costituzionale, “l’articolo 30, comma 4, L. 87/1953 prevede una deroga all’intangibilitàdel giudicato per i casi in cui una sentenza di condanna sia stata pronunciata in applicazione di una norma dichiarata costituzionalmente illegittima. Il principio della retroattività degli effetti delle pronunce di illegittimità costituzionale di cui al comma 3 del medesimo articolo – che, come questa Corte ha più volte ribadito, “è (e non può non essere) principio generale valevole nei giudizi davanti a questa Corte” (da ultimo, sentenza n. 10/2015) – si estende oltre il limite dei rapporti esauriti nel solo ambito penale, in considerazione della gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà o su altri interessi fondamentali della persona”. Proprio per tale motivo, “la Corte di Cassazione penale ha recentemente adottato una interpretazione ampiadell’articolo 30, comma 4, qui in discussione, chiarendo che esso riguarda le ipotesi di dichiarazione di illegittimità costituzionale tanto delle norme incriminatrici – che determinano una vera e propria abolitio criminis – quanto delle norme penali che incidono sul quantum del trattamento sanzionatorio. Ponendo fine a un contrasto interpretativo sul punto, a partire da alcune sentenze pronunciate a sezioni unite nel 2014 (sentenze n. 18821/2013 e n. 42858/2014), la Corte di Cassazione ha ritenuto che la ratio dell’articolo 30, comma 4, sia quella di impedire che venga ingiustamente sofferta una sanzione penale che, per quanto inflitta con sentenza irrevocabile, sia basata su una norma successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima: ciò in virtù del principio per cui la conformità della pena alla legge deve essere costantemente garantita, dal momento della sua irrogazione fino al termine della sua esecuzione. Di qui, le ragioni del superamento del precedente orientamento – ancora recentemente ribadito (tra le altre, sentenza della Corte di Cassazione n. 27640/2012) – che circoscriveva l’ambito di applicazione dell’articolo 30, comma 4, alle sole norme penali incriminatrici”. La Corte di Cassazione ha dunque esteso l’applicabilità dell’articolo 30, comma 4, L. 87/1953 alle norme penali sanzionatorie, lasciando del tutto impregiudicata la questione, sollevata dal rimettente, dellaulteriore estensione dell’ambito di applicazione del citato articolo alle norme che prevedono sanzioniamministrative considerate come sostanzialmente penali, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Secondo la Corte Costituzionale, per la Corte Europea la qualificazione giuridica formalmente attribuitaa una sanzione dall’ordinamento nazionale costituisce solo uno degli indicatori di cui si deve tenereconto per stabilire l’ambito e il confine della materia penale. Questo significa, evidentemente, che ciòche non viene identificato come pena per il diritto interno possa invece esserlo per la giurisprudenza sovranazionale. Ad avviso della Corte Costituzionale, è innanzitutto bene premettere che “ciò che per la giurisprudenzaeuropea ha natura “penale” deve essere assistito dalle garanzie che la stessa ha elaborato per la “materia penale”; mentre solo ciò che è penale per l’ordinamento nazionale beneficia degli ulteriori presidi rinvenibili nella legislazione interna”. Detto ciò, “la portata dell’articolo 30, comma 4, L. 87/1953, è stata estesa dalla consolidata giurisprudenza di legittimità includendovi anche le norme penali sanzionatorie, in un sistema normativo che prevede una fase esecutiva della sanzione, non ancora esaurita al momento della sopravvenuta dichiarazione diillegittimità costituzionale. In un tale contesto, garante della legalità della pena è il giudice dell’esecuzione,cui compete di ricondurre la pena inflitta a legittimità (Corte di Cassazione, sentenza n. 42858/2014)”. Evidente dunque la differenza rispetto alle sanzioni amministrative, in cui sia la loro comminatoria sia la relativa fase esecutiva obbediscono a principi del tutto differenti, in cui il giudice preposto è investito della sola cognizione del titolo esecutivo. Legittima dunque la mancata estensione agli illeciti amministrativi di taluni principi operanti nel diritto penale, sulla considerazione che tali scelte costituiscono espressione della discrezionalità del Legislatore nel configurare il trattamento sanzionatorio per gli illeciti amministrativi. La qualificazione degli illeciti e la conseguente sfera dellegaranzie, circoscritta ad alcuni settori dell’ordinamento ed esclusa per altri, risponde, dunque, a “sceltedi politica legislativa in ordine all’efficacia dissuasiva della sanzione, modulate in funzione della natura degliinteressi tutelati” sindacabili dalla Corte Costituzionale solo nel caso in cui “trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio”. La Corte ha dunque dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionaledell’articolo 30, comma 4, L. 87/1953, sollevate in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, e 117, comma 1, Costituzione, ribadendo l’autonomia dell’illecito amministrativo dal diritto penale. Il sindacato di incostituzionalità e la sentenza n. 394/2006 Cosa accade con norma più favorevole al reo? La risposta è stata fornita da una sentenza della Corte Costituzionale che si ritiene opportuno esaminare nel dettaglio. La pronuncia di incostituzionalità può travolgere norme sì di rilevanza penale, che tuttavia possonoessere astrattamente o concretamente più favorevoli all’imputato. Di tale questione la Corte Costituzionale si è occupata nella propria pronuncia n. 394/2006. Nel contesto del provvedimento, è stato infatti da subito premesso che “secondo la consolidatagiurisprudenza di questa Corte, all’adozione di pronunce in malam partem in materia penale osta non giàuna ragione meramente processuale – di irrilevanza, nel senso che l’eventuale decisione di accoglimento non potrebbe trovare comunque applicazione nel giudizio a quo – ma una ragione sostanziale, intimamenteconnessa al principio della riserva di legge sancito dall’articolo 25, comma 2, Costituzione, in base al quale“nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.Con tale assunto, la Corte ha nuovamente riaffermato la centralità del Legislatore nazionale in materia penale, che non può subire ingerenze di scelta. Infatti, “rimettendo al Legislatore – e segnatamente al“soggetto-Parlamento”, in quanto rappresentativo dell’intera collettività nazionale (sentenza n. 487/1989) –la riserva sulla scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili, detto principio impedisce alla Corte sia di creare nuove fattispecie criminose o di estendere quelle esistenti a casi non previsti; sia di incidere in peius sulla risposta punitiva o su aspetti comunque inerenti alla punibilità (e così, ad esempio, sulla disciplina della prescrizione e dei relativi atti interruttivi e sospensivi)”. Tuttavia tale assunto non ha valore assoluto, ma deve essere temperato da altrettanto valide esigenzedi “tenuta” del sistema. Nella sentenza in esame viene infatti affermato che “il principio di legalità non preclude lo scrutinio di costituzionalità, anche in malam partem, delle c.d. norme penali di favore: ossia delle norme che stabiliscano, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico più favorevole di quelloche risulterebbe dall’applicazione di norme generali o comuni”. Tale orientamento, secondo la Corte stessa, “si connette all’ineludibile esigenza di evitare la creazione di “zone franche” dell’ordinamento (così la sentenza n. 148/1983), sottratte al controllo di costituzionalità, entro le quali il Legislatore potrebbe di fatto operare svincolato da ogni regola, stante l’assenza di uno strumentoche permetta alla Corte di riaffermare il primato della Costituzione sulla legislazione ordinaria. Ecco dunque la delineazione del seguente principio: “Qualora alla preclusione dello scrutinio di costituzionalità in malam partem fosse attribuito carattere assoluto, si determinerebbe, in effetti, una situazione palesemente incongrua: venendosi a riconoscere, in sostanza, che il Legislatore è tenuto a rispettare i precetti costituzionali se effettua scelte di aggravamento del trattamento penale, mentre può violarli senza conseguenze, quando dalle sue opzioni derivi un trattamento più favorevole” In sostanza, la Corte ha rilevato che le questioni di legittimità costituzionale non possono essere limitate solo alle norme penali più sfavorevoli, diversamente ci si troverebbe in presenza di una evidente disomogeneità di sindacato. Ecco dunque che: “Il principio di legalità impedisce certamente alla Corte di configurare nuove norme penali; ma non le preclude decisioni ablative di norme che sottraggono determinati gruppi di soggetti o di condotte alla sfera applicativa di una norma comune o comunque più generale, accordando loro un trattamento più benevolo … e ciò a prescindere dall’istituto o dal mezzo tecnico tramite il quale tale trattamento si realizza (previsione di una scriminante, di una causa di non punibilità, di una causa di estinzione del reato o della pena, di una circostanza attenuante o di una figura autonoma di reato punita in modo più mite)”. Con ciò non deve tuttavia ritenersi che la Corte si ingerisca implicitamente in decisioni che spettano solo al potere legislativo. Nella motivazione del provvedimento in esame, infatti, l’indirizzo perseguito dalla Corte viene ulteriormente illustrato come segue: “la riserva al Legislatore sulle scelte dicriminalizzazione resta salva: l’effetto in malam partem non discende dall’introduzione di nuove norme o dalla manipolazione di norme esistenti da parte della Corte, la quale si limita a rimuovere la disposizionegiudicata lesiva dei parametri costituzionali; esso rappresenta, invece, una conseguenza dell’automaticariespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso Legislatore, al caso già oggetto di unaincostituzionale disciplina derogatoria. Tale riespansione costituisce una reazione naturale dell’ordinamento – conseguente alla sua unitarietà – alla scomparsa della norma incostituzionale: reazione che si verificherebbe in ugual modo anche qualora la fattispecie derogatoria rimossa fosse più grave; nel qual caso a riespandersi sarebbe la norma penale generale meno grave, senza che in siffatto fenomeno possa ravvisarsi alcun intervento creativo o additivo della Corte in materia punitiva”. In sintesi: 1. in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione; 2. è legittima la mancata estensione agli illeciti amministrativi di taluni principi operanti nel diritto penale; 3. le questioni di legittimità costituzionale non possono essere limitate solo alle norme penali più sfavorevoli.