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La sentenza n. 1836 del 27 gennaio 2017 emessa dalla CTP di Roma è certamente destinata ad instaurare un lungo ed acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale in merito all’atipica operazione di trasformazione di una società di capitali (nello specifico, una srl) in un trust.
La decisione in esame offre interessanti spunti di discussione sia con riferimento alla effettiva possibilità di esperire una tale tipologia di operazione straordinaria, sia in relazione agli effetti fiscali che conseguono a questo particolare tipo di trasformazione eterogenea.
Va sin da subito evidenziato che, ai sensi dell’art. 2500-septies cod. civ., le società di capitali possono trasformarsi in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni. Come appare evidente la norma non include il benché minimo riferimento all’istituto del trust pertanto, aderendo ad una più rigorosa interpretazione letterale della disposizione, sembrerebbe doversi escludere la possibilità di trasformare la srl in trust.
Sul tema, appare doveroso rilevare quanto approfondito dal Consiglio Nazionale del Notariato che, con lo Studio del 16.01.2013, ha evidenziato che tra le ragioni che possono ritenere opportuna “la trasformazione di una società in trust vi può essere, ad esempio, l’esigenza di ottimizzare la liquidazione della società senza che sia riscontrabile alcuna esigenza di salvaguardare la continuità dell’organismo produttivo costituito dall’azienda sociale”. In altri termini, a parere del Notariato, “la trasformazione comporterebbe la soppressione dell’ente senza preventivo appuramento ed estinzione delle passività” con ciò costituendo un’alternativa alla liquidazione estintiva della società al pari della trasformazione in comunione di azienda.
Deve però rilevarsi che in tali ipotesi la trasformazione della società in trust si rivela di difficile attuazione, ciò in ragione della inevitabilità del processo liquidatorio-estintivo. Sul punto, neppure la giurisprudenza corre in aiuto atteso che l’unico precedente riguarda una decisione del Tribunale di Sassari del 2010 che ha peraltro escluso la possibilità di un tale tipo di trasformazione eterogenea.
Ciò posto, la questione risulta ancor più avvincente in relazione agli effetti fiscali che derivano dall’operazione straordinaria in esame.
La sentenza in commento trae origine dall’impugnazione di un avviso di liquidazione dell’imposta ed irrogazione sanzioni da parte del “Trustee” emesso a seguito della trasformazione della società a responsabilità limitata in Trust irrevocabile per beneficiari.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha richiesto il pagamento dell’imposta di successione e donazione al Trustee nella convinzione “che si trattasse di conferimento di beni in trust e non di trasformazione eterogenea con conservazione del medesimo soggetto in altra veste giuridica”.
Com’è noto, sotto il profilo fiscale le operazioni straordinarie sono caratterizzate dal principio della neutralità anche in relazione alle imposte indirette e, proprio con specifico riferimento a tale aspetto, il Collegio romano ha evidenziato che “l’atto di trasformazione della Srl in Trust integra, una trasformazione eterogenea, in cui la modifica soggettiva della titolarità dei beni e dei rapporti giuridici non determina l’arricchimento patrimoniale a titolo di liberalità che costituisce il fondamento dell’imposta di successione e donazione”, trattandosi più specificatamente in regressione del soggetto giuridico proprietario dei beni, senza un trasferimento a terzi.
La decisione del giudice di merito è stata emessa in perfetta aderenza al più recente e minoritario orientamento della Corte di Cassazione espresso nella sentenza n. 21614 del 2016 ed in base al quale l’incremento patrimoniale non si verificherebbe nel momento in cui i beni vengono vincolati al trust, ma soltanto quando il trustee devolve i beni del trust in favore dei beneficiari.
Sul punto, la Cassazione ha infatti rilevato che “l’istituzione di un trust cosiddetto “autodichiarato”, con conferimento di immobili e partecipazioni sociali, con durata predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, con beneficiari i discendenti di quest’ultimo, deve scontare l’imposta ipotecaria e quella catastale in misura fissa e non proporzionale, perché la fattispecie si inquadra in quella di una donazione indiretta cui è funzionale la “segregazione” quale effetto naturale del vincolo di destinazione”. Secondo il Giudice di legittimità tale circostanza non produce alcun reale trasferimento di beni e conseguente arricchimento di persone, diversamente da quanto invece accade nel momento in cui i beni confluiscono nella disponibilità dei beneficiari, i quali saranno soltanto successivamente tenuti al pagamento dell’imposta in misura proporzionale soltanto.
Appare doveroso ricordare, però, che la prevalente giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che l’atto col quale il disponente vincola beni a sé appartenenti al trust – in quanto fonte di costituzione di vincoli di destinazione – deve essere assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni, in misura proporzionale.
Balza dunque all’occhio la rilevanza che la decisione emessa dalla CTP di Roma assume sia in relazione alla peculiarità della materia, sia in relazione alla decisione del Collegio romano di aderire al più recente e minoritario orientamento interpretativo.