L’intervento pubblico a tutela della corruzione diviene sempre più intenso e l’attenzione del Legislatore si è spinta ora agli eventi illeciti che interessano il privato. In passato, tale lettura sarebbe stata ritenuta quasi inconcepibile ed ancora la cognizione dei più non ha oggi metabolizzato l’esistenza sin dal 2012 della corruzione tra privati. In realtà, quest’ultima costituisce la priorità di repressione più moderna dei possibili illeciti di amministratori, di sindaci o del personale sottoposto alle dipendenze o alla direzione.

Dal 14 aprile 2017 è entrato in vigore il D.Lgs. 38/2017, che facendo seguito agli interventi realizzati nel 2012 con la Legge Severino, ha accolto gran parte delle indicazioni e dei solleciti provenienti dall’Unione Europea, dopo che da tempo si è criticata la scarsa efficacia della normativa nazionale ed invitato il Legislatore interno ad ampliarne l’ambito di applicazione al fine di rafforzarne l’indole repressiva.

Il decreto, dando attuazione alla decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio del 22.07.2003, ha modificato l’art. 2635 c.c. sulla corruzione tra privati ed introdotto la nuova fattispecie di istigazione alla corruzione (ex art. 2635 bis c.c), sulla scia di quanto già previsto per il settore pubblico.

La riforma ha, parimenti, inciso profondamente anche sui riferimenti testuali contenuti nel D.Lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle Imprese, inasprendo le sanzioni pecuniarie stabilite per le ipotesi di corruzione tra privati, inserendo quelle relative alle condotte compiute nella forma istigativa e prevedendo altresì la potenziale applicazione delle sanzioni interdittive per entrambe le fattispecie di reato.

A suscitare un forte scalpore tra gli esponenti aziendali di spicco è il fatto che, d’ora in poi, potrà rispondere del reato di corruzione tra privati oltre che “gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società o enti privati” anche “chi, nell’ambito organizzativo della società o dell’ente privato esercita funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui al precedente periodo”. La norma allude alle figure manageriali, le cui condotte, se sino ad oggi andavano esenti da possibili contestazioni, d’ora in avanti, svolgendo le medesime funzioni direttive differenti da quelle di gestione o di controllo spettanti rispettivamente agli amministratori o ai sindaci, saranno idonee a far sorgere in capo all’Ente la responsabilità d’Impresa qualora abbia saputo trarre vantaggio o abbia ricavato un qualche interesse dall’illecito commesso.

Per di più, nulla preclude che l’Organizzazione possa essere ugualmente assoggettata a sanzioni sul capitale ed interdittive dell’attività nei casi in cui l’illecito sia stato compiuto per mezzo di un intermediario (“interposta persona”).

Ma quali sono, ad oggi, i comportamenti idonei ad integrare il reato di corruzione tra privati? Cosa è cambiato rispetto alla precedente formulazione? Sul versante dell’ipotesi di corruzione passiva descritta dalla norma, si sottolinea che, in aggiunta al mero ricevimento o all’accettazione della promessa, assume rilievo anche la mera sollecitazione di “denaro o altra utilità non dovuti”, quali contropartita rispetto alla commissione od omissione di un “atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà”.

Non rimangono estranei alla riforma neppure gli enti privati, che hanno assunto le sembianze di strumenti ove possono verificarsi, per vie indirette, fenomeni corruttivi. Ed è per questo che già l’A.N.A.C., con la determinazione n. 32/2016, ha dettato linee guida di riferimento ad ausilio delle amministrazioni pubbliche che scelgono di ricorre agli enti no-profit per l’acquisto o affidamento dei servizi alla persona e con ciò dimostrando una forte sensibilità alla problematica tanto da giustificare la predeterminazione di specifici requisiti, di cui devono essere in possesso gli enti stessi, al fine di instaurare rapporti con le Pubbliche Amministrazioni. Tra questi è stato introdotto l’obbligo di munirsi di un Modello Organizzativo 231 “nell’ottica di garantire l’affidabilità del soggetto erogatore e di assicurare che la prestazione affidata venga svolta nel rispetto della legalità”.

La necessità per gli enti no-profit di adottare un Modello è divenuta ancor di più improrogabile a seguito dell’intervento dello scorso aprile 2017 dopo che il Legislatore li ha inseriti nella disposizione dell’art. 2635 c.c. accanto alle società commerciali.

Altra condotta sanzionata è quella di “chi, anche per interposta persona, offre, promette o dà denaro o altra utilità non dovuti” ai soggetti precedentemente individuati: anche in tal caso di “corruzione attiva”, è idonea ad assumere rilievo la condotta di offerta, promessa e di consegna di denaro ove compiuta per il tramite di un soggetto terzo interposto.

Ispirandosi a quanto descritto nell’art. 322 del c.p. valida per il settore pubblico, il neo-articolo 2635-bis c.c. sulla istigazione alla corruzione tra privati prevede la punibilità della condotta dell’extraneus che “offre o promette denaro o altra utilità non dovuti” all’intraneo affinché quest’ultimo “compia od ometta un atto in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio o degli obblighi di fedeltà, soggiace, qualora la promessa o l’offerta non sia accettata”.

Sul fronte passivo, è altresì prevista la punibilità del referente aziendale interno che solleciti una promessa o dazione di denaro o altra utilità, al fine del compimento o dell’omissione di atti in violazione dei medesimi obblighi, qualora tale proposta non sia accettata.

Un momento di riflessione va senz’altro speso anche per le modifiche apportate all’art. 25-ter del D.Lgs. 231/2001, lettera s-bis, ove è stata innalzata la sanzione pecuniaria già prevista sino ad un range che va da quattrocento a seicento quote per l’ipotesi di corruzione tra privati e da duecento a quattrocento quote per la condotta istigativa. A ciò si aggiunge la possibilità di assoggettare l’Ente ad una delle sanzioni interdittive sancite dall’art. 9, secondo comma del Decreto, in grado di influire in maniera preponderante sul naturale svolgimento delle attività aziendali, pregiudicandone così il proficuo conseguimento di profitti e di introiti sociali.

Non si può certo negare che le modifiche alla fattispecie di corruzione tra privati e l’inserimento del nuovo reato di istigazione alla corruzione abbiano comportato da un lato un ampliamento delle condotte punibili e del novero dei soggetti potenzialmente interessati dalle fattispecie incriminatrici, dall’altro abbiano notevolmente influito anche sulla disciplina che regola la responsabilità para-penale delle persone giuridiche.

Ormai, le Società per tutelarsi non possono più esimersi dal dotarsi di un Modello Organizzativo che determini a priori procedure e protocolli specifici volti a prevenire il rischio legato alla commissione di tali reati. Si dovrà procedere alla implementazione di determinati presidi di controllo, ad una revisione della concreta ripartizione delle singole responsabilità coinvolte nella gestione delle attività aziendali individuate, così come ad una ridefinizione delle modalità di interazione con i soggetti esterni con i quali gli amministratori o i manager, preposti a funzioni direttive diverse da quelle spettanti dai vertici aziendali, possono venire in contatto durante lo svolgimento dei compiti ad essi attribuiti.

Emblematico, infine, anche il ruolo rivestito dall’Organismo di Vigilanza il quale sarà tenuto a svolgere audit più capillari, nel corso dei quali dovrà tener conto di nuove realtà potenzialmente a rischio rendendo, se necessario, più frequente la periodicità di trasmissione dei flussi informativi con le funzioni aziendali responsabili, così da acquisire il maggior numero di dati essenziali per garantire il corretto svolgimento della spettante attività di controllo sul sistema, finalizzata a monitorare la regolare osservanza delle procedure e la liceità delle operazioni aziendali effettuate.

Negli interventi che seguiranno andremo ad analizzare la normativa soffermandoci sulle particolarità della nuova disciplina, ponendo in evidenza gli enormi passi in avanti compiuti nell’ottica di recepimento delle indicazioni dettate dall’Unione Europea oltre che le eventuali incongruenze ancora presenti.